Il Gruppo Archeologico ricorda il Prof. Giuseppe Pucci

 

 

 

RICORDO DEL PROF. GIUSEPPE “PINO” PUCCI, L’ARCHEOLOGO CHE A CHIUSI DIRESSE LO SCAVO
DELLE FORNACI ETRUSCO-ROMANE DI MARCIANELLA (1987-1991)

 

Apprendiamo con dolore l’improvvisa scomparsa del prof. Giuseppe “Pino” Pucci, già Ordinario di Archeologia e Storia dell’Arte greca e romana presso l’Università degli Studi di Siena, nonché Visiting Professor in numerose altre università europee e americane.


Era nato a Marsala nel 1948 e viveva a Grosseto.


Getty Scholar presso il Getty Center for the History of Art and the Humanities, Fellow del Center for Advancead Study in the Visual Arts, è stato anche co-fondatore e membro dell’associazione internazionale
Antropologia e Mondo Antico, membro della Società Italiana di Estetica, co-fondatore e membro dell’associazione internazionale Warburg-Italia, consigliere scientifico del Museo Laboratorio di Arte Contemporanea di Roma, socio ad honorem del Centro Internazionale di Studi di Estetica, socio
corrispondente dell’Istituto Archeologico Germanico, avendo in particolare indirizzato i suoi interessi al rapporto fra la tradizione classica e la cultura moderna, lo ha esplorato da diverse angolazioni: letteratura, arti visive, cinema, teoria estetica.


Lo abbiamo apprezzato come docente e come persona nel periodo (1987-1991) durante il quale, qui a Chiusi, diresse gli scavi del Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti dell’Università di Siena in loc. S. Erminia, all’interno della Fattoria Marcianella.

Lo ricordiamo in giornate di caldo rovente, appollaiato in cima ad un alto trespolo, col cappello di paglia in testa, soprintendere come un giudice l’area di scavo sottostante, oppure quando in confidenza ti chiedeva se mai i contadini del posto avessero usato nel passato più o meno recente oggetti a cui potessero essere ricondotti i ‘curiosi’ frammenti recuperati, che solo in seguito sarebbero stati attribuiti a “salvadanai etruschi”.
Possiamo anche aggiungere che è proprio in occasione delle campagne di scavo in questione noi volontari del Gruppo Archeologico di Chiusi abbiamo appreso appieno l’importanza dello scavo stratigrafico e le sue tecniche e ancor più il valore della frequentazione di un ambiente del genere, capace di aprire la mente a più voci.

 


Quando Giuseppe “Pino” Pucci lasciò il suo posto di ruolo nell’ateneo senese così motivò la sua decisione:
“Ho scelto di andare in pensione anticipata nel febbraio 2011 perché mi ritengo incompatibile con l’Università così come è stata ridotta dai nostri governi”.


Per conoscere meglio le sue qualità umane, di studioso e di docente, anche sotto il profilo del suo rapporto con Chiusi, affidiamoci direttamente alle sue parole, tratte dal volume, edito a Bari nel 2003, MANIFATTURA CERAMICA ETRUSCO-ROMANA A CHIUSI – Il complesso produttivo di Marcianella, da lui curato assieme a Cynthia Mascione:


“PRESENTAZIONE.


Nel periodo in cui Cynthia Mascione ed io eravamo impegnati nello scavo dell’officina di Umbricio Cordo presso Torrita di Siena fummo informati dall’amico Giulio Paolucci, grande conoscitore del territorio di Chiusi, che in quel Comune, all’interno del podere Marcianella, affioravano ad ogni aratura numerosi frammenti di ceramica concotta, tali da far supporre l’esistenza in quel sito di una fornace antica.
Un sopralluogo, nel corso del quale potemmo raccogliere dei frammenti sicuramente riconoscibili come scarti di lavorazione, avvalorò l’ipotesi, che fu di lì a poco definitivamente confermata dalla prospezione geomagnetica dell’amico Ing. Ermanno Finzi, dell’Istituto di Fisica Terrestre dell’Università di Padova, che qui ringrazio.
La ricognizione di superficie consentì in particolare di riconoscere delle forme di ceramica a vernice nera, e immediatamente accarezzammo l’idea di far seguire allo scavo di un’officina di terra sigillata quello di una
fornace più antica, come appariva essere questa di Chiusi.
Le arti del fuoco erano del resto allora – e tali sono rimaste – un filone di indagine privilegiato nel Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti dell’Università di Siena.

Il progetto fu accolto con favore dalla Soprintendenza Archeologica della Toscana, che nelle persone del Soprintendente, dott. Francesco Nicosia, e del funzionario scientifico di zona, dott.ssa Anna Rastrelli, ha sostenuto in ogni fase la nostra attività (la stessa collaborazione c’è stata successivamente con il nuovo Soprintendente, dott. Angelo Bottini, e l’attuale responsabile di zona, dott. Mario Iozzo).
Preziosa fu anche la comprensione dimostrata dal proprietario della Fattoria Marcianella s.r.l., dott. Nicolò Casini, che con liberalità sottrasse l’area dello scavo alle attività agricole mettendola a nostra disposizione
per tutta la durata della ricerca.
Questa ebbe inizio nel 1987, e proseguì negli anni successivi, fino al 1991, con campagne di 5 settimane ciascuna, condotte nei mesi di maggio e giugno.
Lo scavo, da me diretto, è stato coordinato sul campo da Cynthia Mascione, che ne ha curato anche la documentazione. Nel periodo successivo allo scavo, essa ha tenuto con grande professionalità e infinita pazienza le fila del lavoro di gruppo che è approdato finalmente a questa pubblicazione. A questa insostituibile collaboratrice ed amica va tutta la mia riconoscenza.
Molte persone si sono avvicendate sullo scavo, in gran parte miei allievi senesi (fra questi Maria Aprosio, Annalisa Biffino, Fernanda Bocca, Archimede Callaioli, Stefano Camporeale, Marianna Cannarozzi, Magda
Capaldo, Sonia Casini, Margherita Catucci, Rossella Colombi, Maria Elena Cortese, Alessandro Fedeli, Marco Firmati, Elisabetta Gliozzo, Antonia Lamanna, Erminia Lapadula, Tiziana Lesi, Flavia Lodovici, Alessandra
Lazzeretti, Giancarlo Macchi, Loredana Mancini, Lara Marelli, Elena Martín Armand, Alessandra Nardini, Alessandra Pais, Silvia Pallecchi, Alessandra Pepi, Ginetta Perrone, Monica Renzetti, Alfredo Ruga, Chiara Saffioti, Dina Scarcelli, Patrizia Sfligiotti, Angela Vannini, Gisella Zazzaretta) che ricordo con gratitudine.
Per alcune campagne si sono aggiunti anche studenti delle Università di Groningen e di Aix-en-Provence.
Un aiuto fattivo ci è venuto dai volontari del Gruppo Archeologico “Città di Chiusi”, con in testa il suo presidente, dott. Roberto Sanchini.
Tutti i componenti dell’équipe hanno sempre goduto dell’ospitalità fornita dall’Amministrazione Comunale di Chiusi, che ci ha anche procurato in più occasioni mezzi e personale tecnico.
Un apprezzamento particolare ha meritato il Geom. Adalberto Morelli, responsabile per la Società Autostrade del tratto afferente al Casello di Chiusi, nelle cui immediate vicinanze si trova il nostro scavo.
Con una sensibilità straordinaria egli ci ha costantemente aiutato nelle più disparate circostanze, fino a farsi carico della copertura dello scavo.
Devo infine ricordare l’apporto di Fernanda Cavari, direttrice del Laboratorio di Restauro del nostro Dipartimento, e di Angelo Finetti, che ci ha aiutato nella prima lettura delle monete.
A tutti coloro che hanno contribuito al buon esito di questa ricerca va il mio grazie più sentito.
Alla soddisfazione per il risultato scientifico raggiunto si accompagna un rimpianto: non essere riusciti a valorizzare il sito come esso meritava e come le sue potenzialità avrebbero facilmente consentito. A lungo
abbiamo accarezzato l’idea di arrivare a una musealizzazione delle strutture, creando attorno ad esse un apparato espositivo e didattico adeguato, e permettendone la fruizione al pubblico, magari con accesso
diretto da un’area di sosta dell’autostrada. Abbiamo elaborato dei progetti dettagliati, li abbiamo sottoposti ai potenziali sponsors, a cominciare dalla Società Autostrade, che nello stesso periodo aveva varato un’operazione analoga ad Arpi, ma purtroppo non ne è nato nulla di concreto.
Né miglior sorte ha avuto il progetto presentato qualche anno fa all’Amministrazione Comunale di Chiusi – che ce ne aveva fatto richiesta – di un’esposizione dei ritrovamenti nell’ambito del nuovo allestimento
museale del Palazzo del Vescovo: nonostante l’apprezzamento, la sua realizzazione non è stata considerata prioritaria.

….
1. LA ROMANIZZAZIONE DEL TERRITORIO DI CHIUSI

Già nel III secolo a.C. – forse poco dopo la disfatta etrusca di Sentino (295 a.C.) – la città di Clevsins appare soggetta all’egemonia romana, con lo status di civitas foederata (con molta probabilità, si trattò di foedus iniquum). In quest’epoca si inquadra la più antica testimonianza in lingua latina proveniente dal territorio chiusino, la ciotola a vernice nera con l’iscrizione dipinta Aisclapi poco[[co]]lom, da cui tuttavia non è lecito dedurre una diffusa conoscenza di tale lingua in epoca così alta .
Verso la fine del secolo, al tempo della seconda guerra punica, Chiusi, come altre città dell’Etruria, contribuì alla spedizione di Scipione in Africa (Liv. XXVIII, 45). Ma mentre altri centri fornirono materie prime e manufatti artigianali, Chiusi – insieme a Perugia e Roselle – diede legname per la fabbricazione di navi e grano. La sua economia appare pertanto ancora a carattere prevalentemente agricolo/silvicolo.
Secondo le ricerche di Bianchi Bandinelli, datate ma non superate, in quest’epoca il territorio di Chiusi sarebbe stato nelle mani di una ventina di famiglie, che avrebbero sfruttato i latifondi di loro proprietà con manodopera servile.
Agli inizi del II secolo, comunque, violente insurrezioni di schiavi sconvolsero l’Etruria, e in seguito a questi sommovimenti le aristocrazie dei centri interni addivenirono a una parziale riforma delle strutture socio-produttive, concedendo i diritti politici a una parte dei ceti inferiori. I lautni, che alcune iscrizioni bilingui assimilano ai liberti, e che sono attestati in numero abbastanza cospicuo nel territorio di Chiusi, potrebbero essere i protagonisti di questa trasformazione. Sta di fatto che il territorio appare ora coltivato in maniera intensiva, e le tombe testimoniano l’esistenza diffusa di fattorie di piccole e medie dimensioni (forse, tuttavia, sempre dipendenti in qualche modo dalle grandi famiglie magnatizie).
I dati archeologici ed epigrafici sembrano concorrere a delineare un certo benessere diffuso, rispecchiato anche dall’aggiungersi alla tradizionale produzione di granaglie della coltivazione della vite. Ne è prova la
diffusione dell’anfora vinaria Dressel 1.
A questo quadro dobbiamo collegare la nascita e le prime fasi di attività della fornace di Marcianella. Non è improbabile che, come per altre fornaci individuate (cfr. il contributo di G. Paolucci in questo volume) si trattasse all’origine (fine III-inizi del II secolo a.C.) di un impianto destinato a soddisfare l’autoconsumo di un fondo o una limitata domanda locale. Invece le fasi successive, specialmente i periodi 4-6 (II metà II-inizi I secolo a.C.) con le loro abbondanti produzioni di scarsa qualità, sono forse da mettere in rapporto con l’accresciuta domanda rappresentata dai ceti più bassi, di poche pretese, anche se dotati ora di un certo potere di acquisto.
Si ignora quali sia stato l’atteggiamento di Chiusi durante il bellum sociale, ma al termine di esso, nell’81 a.C., la città divenne municipium, amministrato da quattuorviri iure dicundo. I suoi abitanti furono iscritti nella tribù Arnensis.
Fino a questo momento è verosimile che a Chiusi, e soprattutto nel contado, si parlasse ancora etrusco, anche se il latino non doveva essere sconosciuto agli esponenti delle classi dirigenti. Solo nel I secolo d.C. il latino soppiantò definitivamente a Chiusi la lingua nativa.
È molto dibattuta la questione dell’esistenza di una colonia sillana a Chiusi 10. Plinio (Nat. hist., III, 52) menziona l’esistenza di Clusini novi accanto a Clusini veteres, e poiché una analoga distinzione del corpo civico è documentata ad Arezzo – dove è certamente da riferire a una deduzione sillana – si è ritenuto che anche Chiusi fosse stata punita per aver sposato la causa mariana mediante una deduzione di veterani sillani, ma non è stata riconosciuta finora nessuna traccia di centuriazione che possa risalire a quest’epoca, e la documentazione epigrafica non è risolutiva al riguardo.
È certo però che Chiusi ebbe a soffrire molto durante il periodo del confronto tra Mario e Silla. Ripetute battaglie intorno alla città misero a ferro e a fuoco il suo territorio. Le testimonianze epigrafiche e monumentali documentano lo spopolamento del territorio, ed è probabile che anche l’officina ceramica di
Marcianella da noi indagata abbia cessato la sua attività in questo momento.
A prescindere dai danni alle strutture, fu l’intero assetto dell’economia chiusina a essere alterato. Molti abitanti furono uccisi e molti fuggirono (alcuni si rifugiarono forse in Tunisia).
A partire dall’età augustea, invece, il territorio di Chiusi sembra tornare a godere di una certa prosperità.

In quest’epoca anche la fornace di Marcianella, dopo decenni di abbandono, torna in attività, riconvertita in parte alla produzione di calce, evidentemente funzionale a una ripresa dell’attività edilizia. Una analoga trasformazione è stata osservata nel forno scavato in Piazza del Duomo nel 1986.”.

 


Per il testo integrale, dotato di note, si rinvia al volume.

 

 

 

 

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