Viabilità e antichi poderi nella valle del Rielle

Fig. 1
Fig. 1

di: Fausto Lottarini

Come accaduto in occasione di altre ricerche storiche sul territorio di Chiusi, il mio riferimento costante è stato il primo Catasto Particellare del Comune di Chiusi conservato nel nostro Archivio Storico (1). Questo importantissimo documento fotografa nei primi anni Ottanta del Settecento una realtà conservatasi immutata nei secoli, località e poderi con i rispettivi fabbricati prima delle grandi trasformazioni ottocentesche e soprattutto una toponomastica da cui sarebbe utile, anche oggi, trarre utili spunti prima di dare alle nostre strade nomi strampalati e fuori contesto. Pertanto quando non altrimenti specificato faccio riferimento sempre a questo catasto (Matrice XI del Popolo di S. Secondiano – Fig. 1) e relative particelle.

Fatta questa necessaria premessa percorriamo la nostra strada da Porta Lavinia a Pian dei Ponti lungo un itinerario oggi quasi abbandonato ma che ha avuto grande importanza nei secoli passati, a partire dall’età romana quando appena fuori porta attraversava un quartiere densamente popolato con la presenza di importanti edifici pubblici, come ci suggeriscono alcuni ritrovamenti archeologici, e poi in età medioevale naturale sbocco della Città verso le Chiane, luogo di transito ma anche di sostentamento per le popolazioni povere di Chiusi. Infine nei secoli appena trascorsi quando è stata un collettore viario delle strade interpoderali che scendevano dalla strada di Poggio Renzo – Volpaio a nord e dalla strada di S. Mustiola a sud. E’ stata questa funzione soprattutto a garantire il mantenimento e la conservazione delle antiche strade vicinali almeno fino alla metà del passato secolo cioè fino a quando si è conservato il sistema poderale come unica realtà economica importante del nostro territorio.

La nostra strada, appena uscita da Porta Lavinia e lasciata a sinistra la deviazione per le Fontanelle, imboccava , come fa oggi , una ripida discesa e con un altro diverticolo , sempre a mano sinistra , attraversava la località Portonaccio e raggiungeva il fosso del Rielle per poi risalire la collina di Montebello fino alla strada di Poggio Renzo. Prima della deviazione per Portonaccio, a mano destra, sotto il pianoro oggi occupato dai ruderi del lavatoio pubblico, arrivava la strada comune oggi detta via dei Longobardi. Il ramo principale invece scendeva in linea retta fino al podere Peschiera e poi fino al fosso del Botusso prima che questo si scaricasse nel Rielle; superato il Rielle incrociava una viabilità che scendeva dalla Pietriccia, presente anche oggi ma molto trasformata, proseguiva poi verso Pian dei Ponti fino a confluire nella strada delle Paccianese che collegava i vari passaggi sulle Chiane.

Ritornando a Portonaccio dobbiamo subito dire che non esisteva ancora in questa località, all’epoca del nostro catasto, il fabbricato del podere omonimo e non sarà presente neppure nel catasto del 1826, ma comparirà nell’elenco dei poderi Casuccini negli anni quaranta dell’Ottocento. Nel catasto del 1826 (Comunità di Chiusi – Sezione C di Dolciano e Bozze – Foglio 1°, che nella parte che interessa è riprodotto nella Fig. 2) la strada da Portonaccio a Montebello è detta strada vicinale segno di una certa importanza e di una particolare attenzione del cartografo. Per questo motivo e per altri che saranno chiari più avanti vogliamo soffermarci ora su di essa e sui poderi serviti.

Fig. 2
Fig. 2

Superato il corso del Rielle, così come appare nella carta allegata, questa strada saliva al podere Montebello (particelle 643, 644, 645) che troviamo tra le proprietà Casuccini sin dal 1766 (2), era stato proprietà della famiglia Azzolini fino a circa il 1660 e poi Bonci i cui beni, per estinzione del ramo maschile , confluiranno in quelli Casuccini.

Montebello alla fine del Settecento è un piccolo podere di collina di poco più di 6 ettari con bassa produzione di cereali (59 staia di grano nel 1789) ma trae sostentamento dall’allevamento del bestiame; il mezzadro è un certo G. B. Rossi . Nell’anno 1813 (3) sono presenti nel podere 2 bovi aranti, 2 vacche, una somara, 14 pecore, 7 agnelli, un montone, 12 maiali; il mezzaiolo Ceccuzzi è debitore per 49 lire. Analoga situazione nel 1848 con il mezzadro Andreucci Bernardo. La famiglia Andreucci la troviamo anche nel 1885 ma intanto sono aumentate le produzioni cerealicole per l’acquisizione di altri terreni ed anche per nuove tecniche di lavorazione. Oltre al grano si produce siciliano, ovvero granturco, canapa, vino, olio, cacio e lana. Nel podere di Montebello dal 1865 al 1896 vengono piantate 4200 viti, 413 olivi, 12 meli, 19 piante di fico.

Nel 1911 il mezzaiolo è Morellini Giuseppe, sono presenti nel podere 5 bestie vaccine, 21 pecore, una somara, una scrofa con 8 porchetti e 4 magroni per un valore di 2845 lire. Questi numeri possono far capire la forte capacità espansiva della Fattoria Casuccini tenendo anche conto che siamo in presenza di un piccolo podere di collina.

Il podere Montebello oggi non ha più una attività produttiva e il fabbricato rurale ha conservato dell’antico solo alcune tracce e non certamente quelle riferibili al Seicento o Settecento. Corpi avanzati lato strada con terrazze e balaustre degradano il fabbricato che tuttavia è riuscito a salvarsi dalla moda dell’intonaco a tutti i costi che ha già deturpato tanti vecchi fabbricati nel nostro territorio impedendo qualsiasi lettura storica.

A sinistra della strada, davanti al podere Montebello, era il podere Casella di Carlo Paolozzi ( 1729-1809) figlio di Ristoro Paolozzi e di Maria Caterina Subbiani; in questa proprietà ,sempre dal nostro catasto, sono presenti due fabbricati rurali distinti e lontani, uno alla particella 638, davanti al fabbricato di Montebello Casuccini e altro, già scomparso nel catasto del 1826, più a nord nella particella 635. Queste due costruzioni potrebbero far pensare all’unione di due proprietà, ma al momento su questo punto non posso dire di più. E’ certo però che il podere Casella era precedentemente denominato anch’esso Montebello ed era proprietà di Lorenzo Paolozzi, al quale era pervenuto alla metà del Seicento per testamento del cugino Claudio Tolomei , figlio di Andrea e di Lucrezia Paolozzi, sorella di Clemente Paolozzi padre di Lorenzo. Non conosciamo gli eredi di Lorenzo Paolozzi e pertanto non sappiamo come si arrivi, alla fine del Settecento, a Carlo Paolozzi che in ogni caso appartiene ad altra linea successoria essendo figlio di Ristoro di Mauro, della linea di Bernardino che ha dato origine ai Paolozzi ancora presenti a Chiusi (4).

Il fabbricato del podere conserva ancora oggi tracce della antica muratura ma una loggia coperta , una canna fumaria esterna e un annesso realizzato con bozze in cemento deturpano una costruzione che sarebbe gradevolissima.

La strada di Montebello saliva ancora la collina e confluiva nella strada di Poggio Renzo in luogo diverso dall’attuale e più a ovest, come possiamo osservare sovrapponendo alla mappa leopoldina l’attuale cartografia SIT (Fig. 3)

Anche la strada di Poggio Renzo ha subito nel tempo grosse modifiche come possiamo vedere confrontando la situazione attuale con le mappe del Catasto del 1826. Il tracciato si è conservato quasi inalterato dove la natura dei luoghi non ha consentito grandi modifiche come nel tratto in forte salita dove erano e dove sono ancora con altri nomi, in successione sul lato sinistro della strada, gli accessi al podere Brolio Fanelli (787, 788), podere del Monte Petrozzi (768, 769), podere Monte delle Monache di S. Stefano (777-781) e più a nord il podere Monte Dei (817-822) sulla strada che scendeva al podere Fontecucchiaia Casuccini. E’ molto cambiato invece in corrispondenza dell’attuale podere Pellegrina dove la strada transitava nell’aia del podere e poi si manteneva più a monte rispetto ad oggi cioè più a sud in corrispondenza della Tomba della Scimmia, che ancora non era stata scoperta. Anche al podere Volpaio di Felice Paolozzi il suo percorso era del tutto diverso. Queste trasformazioni sono dovute agli accorpamenti ottocenteschi delle proprietà che hanno generato una viabilità ritenuta più funzionale dai nuovi proprietari. A quel tempo avere una strada pubblica che passava nell’aia del proprio podere era considerato, contrariamente ad oggi, una ricchezza ed una comodità.

Fig. 3
Fig. 3

Apriamo a questo punto una grossa parentesi e prendiamo in esame il podere La Pellegrina e vediamo in dettaglio quanto è accaduto o meglio quanto abbiamo potuto capire e dal confronto dei catasti storici e dallo studio dei documenti di archivio .

Tre antichi poderi, Poggio Renzo, Pellegrina e Carpine (talvolta detto Fonti del Carpine per la presenza di una fonte nei suoi terreni), appartenuti sin dagli inizi del diciassettesimo secolo alla famiglia Tolomei daranno origine alla fine del Settecento al podere La Pellegrina che conosciamo oggi.

Il toponimo Pellegrina era riferito originariamente al podere il cui fabbricato compare alla particella 657 del nostro catasto e quindi molto più a sud lungo una viabilità anch’essa scomparsa che da Montebello scendeva a sud-est per ricongiungersi alla nostra strada di Pian dei Ponti. Più a nord erano i terreni del podere Poggio Renzo con il fabbricato rurale alla particella 659; il Carpino aveva i propri terreni ancora più a nord che scendevano la collina fino al fosso che separa la collina del Monte e quella di Montevenere a confine con le proprietà Casuccini di Fontecucchiaia, Feri e Samuelli.

Fonte-Durella
Fig. 4: Particolare della matrice XI del catasto 1782

Già nel catasto del 1826 questi tre poderi non compariranno più perché assorbiti dal podere La Pellegrina il cui fabbricato rurale verrà realizzato in prossimità della strada di Poggio Renzo dove lo troviamo ancora oggi.

A questo punto è evidente la ragione di queste trasformazioni, perché accorpando le proprietà si demoliscono vecchi ruderi non più utili e con questi si realizza un nuovo fabbricato vicino ad una strada più comoda e piana. In questo modo tre piccoli poderi del Seminario Vescovile scarsamente produttivi e mal gestiti divengono uno dei poderi più produttivi della fattoria Casuccini.

Il toponimo La Pellegrina è molto simile e vicinissimo a “Il Pellegrino” delle particelle 641 e 642 rispettivamente della Mensa Vescovile e delle Monache di S Stefano. Altre proprietà della Mensa Vescovile, con il nome Pellegrina, sono dislocate lungo il corso del Rielle . E’ verosimile che in questa area strettamente controllata dalla Chiesa e lungo una viabilità importante sia sorta in età medioevale una struttura di supporto e ricovero per i viandanti e pellegrini che ha dato origine al nome in questione. Lo stesso discorso potremmo farlo per il podere di S. Pellegrino, sempre proprietà vescovile ed oggi scomparso anche come toponimo, lungo la strada Senese ed non lontano dalla chiesa di S. Pietro in Macciano.

Pellegrina, Poggio Renzo e Carpine erano appartenuti sin dagli inizi del Seicento alla famiglia Tolomei così come Peschiera detta anche Palazzolo e Montebello, tutti gravitanti sulla valle del Rielle, e poi anche il Colle a sud della strada di S. Mustiola ed infine Baccano nel territorio e Cura di Macciano. La Pellegrina, il Carpine e il Colle in particolare erano pervenuti nel 1600 ad Andrea Tolomei, padre di Claudio, dal lascito di un certo Canonico Cornelio Frizzi che intendeva così perpetuare il nome della sua famiglia unendolo a quello dei Tolomei. Nel 1648 alla morte dell’ultimo rappresentante della famiglia Tolomei, il signor Claudio di Andrea di Felice, tutti questi beni, eccetto il podere di Montebello, passarono al convento dei Monaci Silvestrini che sin dal Novembre del 1641 officiavano la chiesa di Santa Maria Novella a cui erano prossime le proprietà Tolomei e la loro casa di abitazione. In effetti i Monaci vennero in possesso dei beni solo nel 1653 alla morte di Donna Lucrezia Paolozzi madre di Claudio che per testamento ne era rimasta usufruttuaria.

I Monaci Silvestrini non fecero fortuna a Chiusi, forse per la inimicizia di alcune famiglie ma sopratutto per contrasti sorti con il vescovo Alessandro Piccolomini che intendeva usare diversamente i beni lasciati dalla famiglia Tolomei. Nonostante la contrarietà di grossi personaggi della nobiltà chiusina come Scipione Sozzi, Francesco Maria Samuelli e Mauro Paolozzi, il vescovo Piccolomini ottiene dal Papa Alessandro VII , al secolo Fabio Chigi concittadino del nostro vescovo, la soppressione del Convento dei Monaci Silvestrini avendo così via libera per la erezione nel 1659 di un Seminario che incamera i suddetti beni a cui seguiranno poi altri appartenuti alla chiesa di S. Faustino quando nel 1663 fu soppressa la sua cura d’anime e trasferita nella Cattedrale.

Sarebbe interessante riportare l’elenco dei beni mobili che passano al Seminario al momento della sua fondazione perché anche le minute cose, la descrizione degli oggetti e del loro stato, dipingono un mondo lontano ma per certi aspetti familiare. Tutto ciò porterebbe via troppo spazio e pertanto ritorniamo ai nostri poderi ed in particolare al podere La Pellegrina con il quale faremo un percorso storico nelle nostre campagne e nella vita miserabile dei poveri contadini per un arco temporale di più di tre secoli. Per quanto possibile, compatibilmente con la comprensione del testo, ho cercato di mantenere il linguaggio del tempo, nomi e luoghi così come vengono descritti nei libri di memorie del Seminario. Mi piace riprodurre anche (Fig. 5) il Regolamento per i Seminaristi ai tempi del vescovo Lucio Borghesi (1682-1705).

Questa nostra storia si articola in uno dei periodi più bui del Granducato Mediceo, tra la fine del regno di Ferdinando II che muore nel 1670 e quello del figlio Cosimo III. La Comunità soffriva una cronica mancanza di risorse sopratutto per un sistema fiscale iniquo che colpiva i piccoli commerci e la vendita dei generi alimentari e non traeva adeguate risorse dalla grande proprietà terriera in mano a poche famiglie nobili ed a innumerevoli enti religiosi. Il Comune di Chiusi non riusciva da molto tempo a riscuotere il canone del Paglieto di 50 scudi annui, inoltre le terre che periodicamente si liberavano dalle acque venivano acquisite dalla Fattoria Granducale invece di ritornare alla Comunità le cui rimostranze finivano sempre in un nulla di fatto. Molti nobili chiusini , quei pochi che non si erano fatti cittadini senesi, rifiutavano le cariche pubbliche da cui si poteva trarre solo guai, ma volentieri si dedicavano alla gestione dei beni ecclesiastici traendone spesso più del dovuto e non facendo nulla per migliorare le coltivazioni e la misera vita dei contadini.

Fig. 5
Fig. 4

 

Il nostro podere nel 1659 è detto in contrada di Montebello a confine con la Mensa Episcopale (particelle 605,606,607), con il monastero delle monache di S. Stefano (642) , il Capitolo della Cattedrale (651), la proprietà della famiglia Azzolini che diverrà poi il podere Montebello Casuccini (643, 644). Il podere ha una estensione di 40 stara tutto lavorativo che si semina a grano metà per anno. E’ consuetudine antica a Chiusi misurare le superfici agricole in staia e non in quadrati come in altre parti della Toscana, lo staio rappresentava la superficie necessaria per seminare uno staio di grano , naturalmente veniva usata per tutte le tipologie di terreno e corrispondeva grosso modo a 1500 mq. Il mezzaiolo in questo anno è Girolamo di Antonio e i bestiami presenti nel podere sono una vacca di otto anni e un vitellino, un bove da lavoro di quattro anni e poi venti pecore con otto agnelli. Girolamo ha seminato 23 stara di grano, e coltiva anche orzo, fave, canapa e cicerchie . Gli altri poderi del Seminario non sono in condizioni migliori, il podere Peschiera ad esempio lavorato dal genero di Girolamo ha la abitazione parzialmente crollata e vi sono solo pochi maiali , annesso al podere è un pezzo di terra detta il Pergoleto di Porta alla Vigna di 8 staia. I poderi del Colle e Poggio Renzo vengono detti senza contadino e bestiami, il podere del Carpine si dice rovinato ed incolto.

Alcuni anni dopo nel l667 la Pellegrina è coltivato da Angelo di Francesco che ha raccolto 14 some di grano da dividere con il Seminario ma ne aveva seminate 4 pertanto la resa è molto bassa e poi le solite piccole quantità di orzo, fave, canapa; il vino prodotto è sei some e l’olio sei boccali anche questi da dividere.

Lo staio o staro con cui si misuravano tutti i semi era in Toscana un recipiente cilindrico in legno e ferro della capacità di circa 24 litri, sei stara facevano una soma e quattro some un moggio. Queste misure non erano esattamente corrispondenti a quelle in vigore in altre parti del Granducato e non corrispondevano neppure alle misure senesi.

Le bestie presenti nel podere sono un poco aumentate infatti abbiamo due bovi aranti , una vacca con vitella, un’asina con poledrino , 14 pecore e 10 agnelli ; due maiali vengono allevati solo per il consumo di carne non avendo il podere terreno boschivo indispensabile per l’allevamento di questo animale. La casa del contadino però minacciava di cadere e non doveva essere un bel vivere per la famiglia di Angelo.

Il podere Peschiera nello stesso anno con il mezzaiolo Angelo di Antonio aveva seminato 9 staia di grano ed aveva raccolto 9 some cioè 54 staia con una resa del 6 che non è molto meglio di quella della Pellegrina.

I liquidi come vino e olio si misuravano in boccali (1,3 litri). Mezzo boccale era la mezzetta, un quarto di boccale era la foglietta con propri recipienti di riferimento. La barlozza, contenitore in legno a forma di piccola botte, conteneva 15 boccali. Quattro barlozze secondo l’uso chiusino fanno la soma dei liquidi da non confondere con la soma usata per i semi detta prima.

Il vino ha grande importanza nella alimentazione al pari del frumento ed è tenuta in gran conto la coltivazione della vite tanto da comparire nelle condizioni del contratto di mezzadria. Angelo detto Taglialargo mezzaiolo alla Pellegrina e Peschiera portò al Seminario nel 1672, 56 barlozze di vino che era la metà della produzione del podere.

E’ ancora poco diffusa la coltivazione dell’olivo o meglio ancora è bassa la produzione di olio, inoltre è curioso annotare che in questi anni la spremitura si fa a Gennaio o anche Febbraio . Nel 1673 la produzione di olio di tutti i poderi e terre sciolte del Seminario ammonta a boccali 400 cioè 520 litri.

La lana e la fibra della canapa si misuravano in libbre (0,3 Kg) e cosi anche il cacio che si produceva in quasi tutti i poderi ma la produzione maggiore era nel podere di Baccano.

Per gli anni dal 1684 al 1695 abbiamo diversi contratti di mezzeria stipulati tra il Rettore del Seminario e i lavoratori dei vari poderi “conformi le usa e costuma nella corte di Chiusi”. I coloni promettono di comportarsi da buoni mezzaioli e di fare una buona maggese , sementare canapa e biadumi , inoltre si obbligano a porre nel podere “quattro stucchi l’anno con relativi maglioli” (l’uso di maritare la vite al testucchio o acero campestre è rimasto fino al secolo passato). I semi vengono sempre anticipati dal Seminario essendo le riserve del colono sempre sotto zero e vengono restituiti al raccolto per la metà spettante al lavoratore.

Per quanto riguarda il bestiame seppure vi sia una conduzione in conto stima che richiama la mezzadria ottocentesca vi sono alcune diversità che credo derivassero dalla estrema povertà delle famiglie contadine. I bestiami vengono comprati dal Seminario e viene fatta una stima, il lavoratore in cambio deve versare una “Collaia” consistente in una soma di grano all’anno, la perdita o il guadagno nella stima dei bestiami viene divisa a metà, ci sono poi le regalie a cui è tenuto il lavoratore e cioè un paio di galline e 25 uova a Carnevale, 25 uova a Pasqua, e un paio di galletti alla raccolta del grano.

Il 9 Dicembre del 1696 si conferma il podere La Pellegrina , da molto tempo unito al podere Peschiera , a Marco di Angelo detto il Taglialargo con le solite condizioni viste prima inoltre si specifica che il lavoratore deve fare le forme e accomodare bene le viti , “stabbiare le terre e consumare le pallie e strami in detti poderi e deva alli suoi debiti tempi rompere le stoppie e fare le maggesi acciò nella semente siano rotte quattro volte”.

Nel 1703 al Taglialargo subentra Domenico di Carlo detto Tempo Nero fino all’autunno del 1708 quando i poderi Pellegrina e Peschiera vengono assegnati a Domenico di Tommaso detto il Pennicchia che riceve a stima le seguenti bestie “ la quali promette tenere e pagare le collaje”.

Un bove chiamato Sergente di pelame bianco stimato piastre 15

Altro bove chiamato Chiappino sempre di pelame bianco del valore di 15 piastre

Un vitello di due anni chiamato Galantino stimato 12 piastre

Un vitello chiamato Bizzarro di due anni stimato piastre 8

Una somara del valore di 4 piastre e mezza e il suo poledrino di lire 20

28 pecore da frutto e 5 agnelli.

La moneta di base era la lira composta di 20 soldi di 12 denari ciascuno. Lo scudo, all’uso senese era di 7 lire; la piastra era lo scudo di argento (Fig. 6), la Crazia corrispondeva a 20 denari e il Paolo a 13 soldi e 4 denari.

Piastra, o scudo d'argento
Fig. 6

Nell’inverno del 1709 il Pennicchia essendo appena entrato nel podere, non ha proprie scorte alimentari e accumula molto debito con il Seminario per la continua necessità di vitto, non solo grano ma anche orzo,fave minute, cicerchie e veccia bianca che si aggiunge alla farina di grano per fare il pane.

Era consuetudine che il nuovo mezzaiolo entrasse nel podere a S. Martino l’11 Novembre quando erano già state lavorate le terre per la semina del grano che pertanto l’anno successivo veniva raccolto dal vecchio lavoratore; questo determinava che per tutto l’anno successivo all’ingresso nel podere il mezzaiolo che non avesse proprie scorte di viveri dovesse chiederle continuamente al padrone, la stessa cosa non accadeva per fave ed altre granaglie che si seminano a primavera.

Domenico sconta il suo debito nell’Autunno successivo con una soma di mosto bianco e una di mosto rosso valutati 14 lire la soma che vengono portati al Seminario che solitamente fa il vino nella propria cantina nei locali vicini alla chiesa di S. Maria Novella. Questi mezzadri spesso per alleviare il debito vanno a lavorare a giornata nelle terre sciolte del Seminario e anche Domenico dall’Aprile del 1709 al Giugno delle stesso anno va a tagliar legna in “Val di Quoia contrada di Montevenere” riceve una paga giornaliera di un Giulio moneta equivalente a 13 soldi e 4 denari; dunque per scontare due lire di debito doveva lavorare fuori dal podere tre giorni; con la stessa cifra si poteva comprare un boccale di olio (1,3 litri). La terra del Seminario in Val di Quoia nella quale si reca il nostro Domenico a tagliar legna era stata data a mezzeria nel 1706 a Giuseppe di Agostino Feri a confine con i beni di Giovanni Feri e dei S.ri Casuccini quindi si tratta della vallata tra Montevenere e Monte S. Paolo sotto al podere Fontecucchiaia dei Casuccini.

A Ottobre del 1709 Domenico del Pennicchia riceve dal Seminario 33 staia di grano per la semente ma la raccolta nell’Agosto dell’anno successivo è molto bassa in tutti i poderi eccetto Baccano, praticamente non si recupera neppure il grano seminato. Non sappiamo cosa sia capitato esattamente ma sappiamo dalle stime dei bestiami che fu un inverno molto freddo tanto che morirono diversi animali nei poderi, soprattutto pecore e agnelli, anche il nostro Domenico passa a miglior vita e la conduzione del podere passa al figlio Angelo. A proposito di questa famiglia di mezzadri ci piace far notare la trasformazione del soprannome Pennicchia nel cognome Pennecchi , infatti sempre in questa località nel 1785 troviamo , piccolo proprietario di un terreno, Pennecchi Domenico nipote probabilmente del Domenico detto prima.

Al cambio del Rettore del Seminario nel 1733 vengono descritti sommariamente tutti i poderi con i rispettivi confinanti e nella descrizione delle terre sciolte compare “un oliveto appresso il ponte di S. Silvestro o Canneto confina da tre parti con le strade comuni”. Questo terreno era originariamente appartenuto alla chiesa di S. Faustino e nel 1637 (5) veniva descritto tra i suoi beni come un pezzo di terra olivata di stara tre in contrada della Seconda Svolta o Pietriccia confinante da tre lati con la via comune. E’ interessante il riferimento all’antico ponte di S. Silvestro e alla particolarità di avere a confine la strada da tre lati, il tutto fa pensare alla particella 597 del nostro catasto. Oggi è il terreno in pendio racchiuso tra la strada delle Torri e la stradina che in fondo alla discesa della Pietriccia raggiunge la strada di Pian dei Ponti .

Sono questi anni difficili per il Seminario che rimane senza alunni per molto tempo sia per le scarse risorse derivanti dai poderi sia per la cattiva aria come si diceva allora o per la malaria come diremmo oggi che causò un calo drastico della popolazione di Chiusi.

La Bolla di Alessandro VII al tempo dell’erezione del Seminario nel 1659 specificava che in caso di mancanza di alunni i beni sarebbero dovuti andare al Seminario S. Giorgio di Siena; per scongiurare questa eventualità si cercarono nuove risorse economiche anche promuovendo una causa nel 1740 contro i Signori Lucci di Cortona che secondo il procuratore del Seminario avvocato Giulio Paolozzi, avrebbero usurpato alcuni beni in Chiusi che dal testamento del Capitano Giulio Melli del 1602 (6) sarebbero dovuti pervenire, al momento della estinzione della linea maschile, alla Chiesa della Madonna della Querce al Pino e quindi al Seminario. Tra questi beni vi era un podere con casa per il lavoratore in contrada La Paccianese . Nelle decime dell’Opera della Cattedrale del 1759 lo stesso podere compare come Paccianese Lucci e pertanto si può desumere che la causa non andò bene per il Seminario.

Nel 1745 abbiamo addirittura lo stesso lavoratore Francesco Fusai per i tre poderi Poggio Renzo Pellegrina e Peschiera e questo certamente non è un buon segno ma un sicuro indizio di scarse raccolte, di pessimo stato delle abitazioni e di una economia rurale sempre più povera. Già da alcuni anni i terreni del Carpine erano stati uniti a quelli di Poggio Renzo ed ora confluiscono tutti nel podere della Pellegrina. L’abitazione rurale di Poggio Renzo di sole due stanze viene data in affitto e la località compare sempre più spesso con il nome Casella. Anche i libri delle entrate e uscite del Seminario si fanno molto confusi, con i mezzaioli che cambiano continuamente fatta eccezione per la famiglia Del Segato al podere Baccano. I Del Segato, altro soprannome che diviene un cognome, non sono mezzaioli ma pagano un affitto annuo al Seminario e traggono discrete risorse dall’allevamento delle pecore con buona produzione di formaggio e possiedono un forno per calcina che trasportano dove richiesta come nel 1744 per lavori al fabbricato della Peschiera e a quello della Pellegrina.

Arriviamo pian piano agli ultimi anni di vita del Seminario, nel 1773 alla Pellegrina subentra come mezzaiolo Giuseppe Magi detto Pisciapiano; i terreni ammontano ora a circa 110 stara e anche i bestiami sono presenti in buona quantità per un valore di circa 75 scudi.

Al Magi nel 1778 subentra Camillo Parri che sarà l’ultimo mezzaiolo del Seminario alla Pellegrina infatti nel Settembre del 1784 il Vescovo Pannilini decreta la soppressione del Seminario che da molti anni non adempiva più al suo scopo principale cioè la formazione culturale e religiosa di giovani aspiranti al sacerdozio ma teneva semplicemente un maestro per i pochi chiusini che avevano la fortuna di frequentare una scuola. Le rendite del Seminario vengono assegnate ai Canonici Coadiutori del Capitolo della Cattedrale; in questa occasione si fa l’ultimo inventario dei beni in essere e per la prima volta si dice la consistenza delle abitazioni rurali. La casa del podere La Pellegrina è di “5 stanze da cima a fondo”, probabilmente si vuol dire che a pianterreno vi erano due stalle per il bestiame vaccino e al piano superiore una cucina da cui si accedeva a due camere; è la tipica casa contadina di questa epoca che abbiamo riscontrato molte volte nel nostro territorio, abitazione idonea ad una famiglia di cinque o sei persone. Gli annessi per il bestiame minuto non vengono descritti anche per la loro precarietà infatti le pecore venivano tenute in capanne con struttura in legno e copertura in cannuccia o qualche volta in laterizi e i maiali spesso venivano tenuti in grotte scavate nel tufo dette anche tombe.

Il podere Peschiera o Palazzolo aveva una casa di “4 stanze da cima a fondo” abitata dal mezzaiolo Vincenzo Masci , il podere Colle una abitazione di sole due stanze dove abitava una pigionale Agnese Parrini e anche Poggio Renzo aveva una casa di due stanze abitata dalla pigionale Maria Massinelli . Dunque negli ultimi anni erano stati accentrati i terreni e le povere abitazioni date a pigione alle vedove dei mezzadri morti.

Tutte le scorte di derrate vengono in poco tempo vendute in Chiusi e nel circondario; il vino viene venduto a £ 4 il barile che è la nuova misura dei liquidi (45 lt) che ha sostituito la barlozza chiusina da quando un editto del Granduca del 1782 ha uniformato tutti i pesi e misure toscane a quelle fiorentine. Anche i danari vengono spartiti e destinati a vari lavori tra questi ci piace ricordarne alcuni: £ 395 a mastro Antonio Giannoni per l’ampliamento della chiesetta di S.Polo e poi diverse somme per restauri alla chiesa di Querce al Pino, £ 11 per la festa di S.Faustino del 29 Luglio, tradizione antichissima che continuerà fino ai primi decenni dell’Ottocento.

Le case dentro la Città e i poderi e terre sciolte vengono vendute con atto del 21 Settembre 1785 (7) a vari possidenti locali con una formula particolare che prevede il pagamento in contanti di una parte della cifra stabilita e della rimanente parte si dovrà pagarne il frutto al 3% per un certo numero di anni ma questa parte verrà ricontrattata successivamente e nasceranno molte controversie tra il Capitolo e i vari compratori.

Francesco Petrozzi per scudi 82 acquista un oliveto al Monte confinante con il suo podere.

Un certo Lazzari acquista la vigna fuori Porta Lavinia detta il Pergoleto per scudi 500.

Domenico Del Segato acquista il podere di Baccano in cui è sempre vissuta la sua famiglia per scudi 668. E’ proprio la condizione particolare di vendita che certamente non fu pensata per lui a rendere possibile a questa famiglia l’acquisto del podere in cui continueranno a vivere per molti anni ancora.. Il podere di Baccano , del quale abbiamo poco parlato sino ad ora per essere lontano dal territorio oggetto del nostro studio , aveva circa 60 stara di terreno parte lavorativo ed olivato parte sodivo e querciato a confine con la Mensa Vescovile con il piccolo podere Poggio Canterello di Bartolomeo Culicchi , con la Cura della Querce al Pino e con la strada pubblica (strada per Chianciano ). La casa era di sole 4 stanze.

Bernardino Weber acquista “ una stanza detta una volta la chiesa di S. Faustino posta in Chiusi in contrada la Villetta”.

Pietro Bonci Casuccini per scudi 1495 acquista il podere La Pellegrina con intorno 75 stara di terreno,la casa di Poggio Renzo detta la Casella con 8 stara di terreno lavorativo e 33 boschivo, un oliveto a Poggio Renzo di 5 stara, Il podere del Colle con casa di 2 stanze ad uso di pigionale e un terreno di 30 stara lavorativo a confine Mauro Paolozzi e lo stesso Casuccini.

Il nostro catasto di riferimento fotografa il podere della Pellegrina pochi anni prima della vendita e infatti i rilievi del territorio di Chiusi eseguiti dall’agrimensore Bernardino Tozzetti iniziarono nell’autunno del 1782 (8) ; le misure dei terreni vengono date in Stiora, antica misura fiorentina con i sottomultipli Panora e Pugnora. La Pellegrina ha una estensione di 322 stiora corrispondenti a circa 17 ha, questa cifra concorda grosso modo con la misura del podere che si dà nell’ultimo inventario del Seminario di 107 stara e anche con le misure riportate nell’atto di acquisto Casuccini. L’editto granducale del 1782 aveva uniformato tutti i pesi e misure delle varie parti della Toscana alle misure fiorentine che nel frattempo avevano subito anch’esse delle modifiche; lo stioro fiorentino, ad esempio, usato nel nostro catasto, era stato sostituito dal quadrato e dai suoi sottomultipli decimali, la tavola, la pertica, la deca, il braccio quadrato e a questi si dovevano uniformare tutte le comunità del Granducato. Nonostante ciò negli atti notarili si continuerà per molti anni ancora a riportare l’antica misura chiusina dello staro che corrispondeva molto approssimativamente a 1500 mq.

Non sappiamo al momento a chi fu venduto il podere Peschiera che non compare nella vendita del 1785 ; in ogni caso si chiude un capitolo nella nostra storia e se ne apre subito un altro.

Troviamo La Pellegrina nell’elenco dei poderi di Pietro Bonci Casuccini sin dal 1789 , a questa data con tutta probabilità, era già stato edificato il nuovo fabbricato rurale, più a nord a ridosso della strada di poggio Renzo, mentre i vecchi fabbricati erano stati sicuramente demoliti per ricavarne materiali e calcina per la nuova costruzione. Sono questi gli anni in cui il Casuccini e lo abbiamo visto anche in questo lavoro, ottiene di demolire le antiche mura castellane all’Arcisa e la Torre ancora in piedi della antica basilica di S. Mustiola.

Non abbiamo le produzioni di questi anni fino al 1814 quando troviamo i bestiami in essere nel podere e cioè 4 bovi aranti, 2 giovenchi, 1 somaro, 14 pecore, 10 maiali da carne e 6 maialetti per un valore complessivo di £ 2190; il mezzadro, un certo Marchetti, è debitore per £ 236.

Nel 1848 il mezzadro è Meolli Domenico; nel podere sono presenti 2 bovi aranti, 1 somaro, 6 maiali da ingrasso e 22 pecore per un valore di £ 1520.

Nel 1885, con il mezzadro Nofroni, abbiamo la produzione cerealicola con 218 staia di grano, 80 staia di siciliano, vino 104 barili, olio 30 barili (il barile per l’olio misurava circa 33 litri). Si producono anche canapa , lana , cacio , bozzoli. Dal 1866 al 1886 nel podere vengono piantati 290 olivi , 356 testucchi , 3750 viti , 36 gelsi.

Nel 1911 il mezzaiolo è Morgantini Serafino, nel podere sono presenti 2 bovi aranti , 2 vacche , 2 giovenche , 1 somaro , 2 scrofe , 7 porchetti e 5 magroni , 29 pecore per un valore complessivo di £6325.

Nel 1932 dopo 140 anni di proprietà Bonci Casuccini l’ing. Guido vende il podere ai fratelli Piero e Vittorio di Quintilio Lucioli Ottieri Della Ciaja . Quando i fratelli Lucioli nel 1946 dividono la cospicua eredità paterna (9), di tutti i poderi vengono stimati i bestiami , i terreni e i fabbricati rurali. Alla Pellegrina sono presenti 4 vacche di cui tre gravide (le vacche hanno sostituito i bovi e nei grossi poderi si lavora la terra con i trattori), 2 vitelli, 10 maiali, 27 pecore, 21 agnelli, per un valore complessivo di £ 774.000. I terreni, circa 29 ettari, vengono stimati £ 1.903.268.

Il fabbricato rurale viene analizzato dal perito agrario Giuseppe Cioni; al piano terreno vi era una stalla sufficiente per 10 bestie vaccine ma male illuminata ed areata, un granaio sufficiente e in buone condizioni , un tinaio non rispondente alle dimensioni del podere , un forno in buono stato; addossati al fabbricato 4 stalletti per i maiali con un unico cortile bassi ed insufficienti, un ovile difettoso nell’areazione. La scala esterna con gradini in pietra serena e con sotto il pollaio portava al primo piano dove era una vasta cucina con intorno quattro camere malissimo disimpegnate. Il fabbricato in pietra viene giudicato staticamente buono ma in cattivo stato di manutenzione. I lavori di manutenzione richiederebbero una spesa di circa £ 37.000. La perizia precisa che con questi lavori la casa colonica sarà in condizioni migliori ma non sarà sufficiente alla numerosa famiglia necessaria per un podere così vasto. Non è presente la luce elettrica e per l’acqua ci si rifornisce alla fonte del Carpine che esiste nella proprietà. Oggi questo podere con tanta storia sulle spalle ha perduto la sua funzione produttiva, molti terreni sono stati venduti, si conserva in buono stato il fabbricato che però ha subito consistenti interventi di recupero non pertinenti.

Scendendo lungo la strada di Poggio Renzo e sempre guidati dal nostro catasto di riferimento incontriamo a mano destra il podere Poggio Renzo delle Monache di S. Stefano e prima, fino a circa il 1660, di Carlo di Fabio della Ciaja, e poi il podere Volpaio di Felice Paolozzi appartenuto prima alla famiglia Nardi con il nome di Paccianese.

Ritorniamo ora alla deviazione per Portonaccio e percorriamo la nostra strada verso il podere Peschiera. La strada percorreva il lato nord del promontorio dell’Arcisa sotto le antiche fortificazioni presenti forse sin dall’età romana e demolite alla fine del Settecento come abbiamo avuto occasione di dire altre volte.

Del podere Peschiera o Palazzolo ho già detto a sufficienza per essere le sue vicende legate al podere della Pellegrina voglio solo aggiungere che i due toponimi coesistono per un tempo lunghissimo e potrebbero spiegarsi con l’accorpamento di due distinte proprietà. Infatti negli elenchi delle decime dell’Opera della Cattedrale del 1635 compaiono due distinti poderi con il nome Peschiera e nella stessa località: uno era appartenuto alla famiglia Tolomei e poi ,come abbiamo visto, finito al Seminario, l’altro nel 1635 apparteneva alla Famiglia Thai poi verosimilmente ai Tolomei. Il nome Peschiera potrebbe originarsi dalla presenza di un bacino artificiale ad uso di pesca, pratica assai diffusa nei luoghi che permettevano una raccolta delle acque come nel nostro caso. Il nome Palazzolo invece , assai frequente nel territorio di Chiusi, è sempre presente in vicinanza di una antica viabilità e richiama un fabbricato ad uso promiscuo del lavoratore e della proprietà cittadina e punto di raccolta delle derrate agricole.

La nostra strada , fatta una ampia curva a monte del fabbricato , volgeva verso est e velocemente scendeva nel piano ad incrociare il fosso del Botusso e poi del Rielle e proseguiva ancora incontrando a mano destra una strada che scendeva dalla Pietriccia. Qui si conservava alla fine del Settecento , in tre distinte particelle , il toponimo Fonte Durella oggi del tutto scomparso.

Questa Fonte Durella è citata più volte nei documenti comunali. Il Gherardini nel 1676 (10) descrive le tre fonti della Comunità di Chiusi cioè Fontanella (oggi Fontanelle) che dice in cattivo stato “con parapetto rovinato, e senza acqua…. per esser caminato il terreno et esservi grande spesa per ritrovare la vena” e Fonte Nuova che “in oggi si puol dire inutile”, e Fonte Durella “l’acqua della quale è stimata la migliore che è fuori della Porta Pacciana….alla Fonte Durella vi è bisogno di rifare un pezzo di muro traverso alla strada con seliciata sotto e sopra per difendere il condotto e rinfianco nella volta”. Altro accenno a questa fonte lo troviamo in un documento del 1600 conservato nel nostro Archivio Vescovile riguardante il Seminario Vescovile; si tratta della donazione del canonico Cornelio Frizzi ad Andrea Tolomei , di cui abbiamo già parlato, nella quale oltre ai poderi Colle, Pellegrina e Carpino che andranno al Seminario si fa riferimento anche a “ un pezzo di terra di stara due e mezzo, arborato, vitato, nella corte di Chiusi e strada di Fonte Durella, appresso li beni dei canonici da due lati, ai piedi il fossato e la via pubblica”. Questa descrizione sembrerebbe individuare la particella 590 del nostro catasto di riferimento a monte della strada dove sarebbe da ricercare la antica fonte.

Oggi la nostra strada si è conservata praticamente fino al podere Peschiera, più a valle i lavori agricoli hanno deteriorato il tracciato. Anche la strada che scende dalla Pietriccia, anche se ancora presente, è poco più di un sentiero campestre. La strada arrivata al fosso del Rielle si divideva ancora in due rami, uno saliva al podere Pian dei Ponti delle Monache di S. Stefano e nella direzione opposta saliva a Montebello, l’altro proseguiva in piano, come fa oggi , e arrivava sotto al podere S. Mustiola della Mensa Vescovile sfociando nella strada della Paccianese che permetteva di raggiungere l’altro podere Pian dei Ponti, quello Paolozzi.

Il podere Pian dei Ponti delle Monache di S. Stefano lo troviamo sin dal 1569, di questo anno infatti è un documento conservato nell’Archivio della Curia Vescovile di Chiusi (11) che riporta la raccolta dei grani nei poderi delle Monache e cioè, oltre a Pian dei Ponti, Fontepinella, Astrone, Petriolo, San Polino. Il toponimo fa riferimento ai ponti o ponte sulle Chiane e non necessariamente a quello che conosciamo, in uso nei secoli scorsi , accanto alla torre di Beccati Questo. Sappiamo infatti dell’esistenza, almeno fino al 1426 , di un passaggio più a nord dove era presente un “palazzotto sulle chiane” (12) tanto da rendere più conveniente e diretto l’uso della nostra strada sia da chi proveniva da Siena e a S. Lazzaro imboccava la valle del Rielle sia da chi scendeva dalla Città attraverso Porta Lavinia.

Il podere S. Mustiola della Mensa Vescovile, raggiungibile anche dalla strada delle Torri , era una antichissima proprietà del vescovo di Chiusi insieme a Vigna Grande, Dolcianello, Casaccia, S. Pellegrino, Il Molinaccio di Astrone ed infine il Palazzone, davanti alla villa di Dolciano, che per un errore di trascrizione sin dal catasto del 1826 è chiamato Pozzone.

Il podere S. Mustiola, oggi detto S. Mustiola di Sotto, aveva molti terreni nel piano in prossimità della torre di Beccati Questo che rimasero inondati dalle acque per lunghi anni fino ai primi decenni del Settecento .

La Chiana che già da molti secoli aveva perduto la sua antica pendenza verso il Paglia e Tevere , aveva quasi uno spartiacque al Passo delle Torri , a nord le acque scorrevano lentissimamente verso il lago di Montepulciano mentre a sud continuavano a scendere verso il Paglia. Nella seconda metà del sec. XVII gli ingegneri dello Stato Pontificio sempre preoccupati per le possibili inondazioni del Tevere, costruirono argini al naturale deflusso delle acque; la controversia si trascinò per alcuni decenni senza che si trovasse una soluzione ed un accordo duraturo fino a che da parte toscana (13) si pensò di volgere a vantaggio il naturale ristagno della valle, creando con tutti i corsi d’acqua disponibili una enorme colmata, con l’Astrone e Tresa a sud e Parce e Gragnano a nord. La pianura sotto Chiusi divenne un enorme lago, creando non pochi problemi alla popolazione ma rialzando velocemente il livello dei terreni. Questa situazione si protrasse fino ai primi anni venti del Settecento quando l’escavazione del canale del Passo alla Querce, la levata di Astrone dal piano della Biffa e la deviazione del Parce riportarono la situazione sotto controllo e liberarono dalle acque molti terreni anche al Passo delle Torri che il Vescovo rivendicò come propri contro le opposte rivendicazioni della Comunità. In una testimonianza a favore del Vescovo del 28 Ottobre 1726 (14) un certo G.B. Caselli di Sarteano ricorda la strada accanto alla Torre Beccati Questo che portava all’osteria aldilà della Chiana prima che fosse inondata dalle acque. Un altro testimone parla di strada che portava al barcone per passare le Chiane, mentre la nuova strada costruita dopo il ritiro delle acque avrebbe, secondo lui, invaso i terreni del Vescovo. Non mancarono i testimoni a favore della Comunità e la lite si protrasse fino ai primi decenni dell’Ottocento ed ha lasciato testimonianza in alcune belle carte conservate nell’Archivio Vescovile di Chiusi fra cui quella del 1849 (Fig. 6) dove sono riportati in colori diversi i confini via via modificatisi nel tempo tra la Comunità e i Particolari tra cui la Mensa Vescovile.

Carta del del 1849 dall'Archivio Vescovile di Chiusi
Fig. 7

La strada di Pian dei Ponti sfocia nella strada della Paccianese e da qui si può salire al podere Pian dei Ponti Paolozzi che nel sec. XVII troviamo proprietà di Santi Paolozzi e all’epoca del nostro catasto, cioè alla fine Settecento, di Ermenegildo Paolozzi di Stefano di Santi.

Chiudo queste brevi note storiche con alcune osservazioni che potrebbero, in qualche modo, dare spiegazione alla contemporanea presenza, nei secoli trascorsi, di due strade così vicine come la strada di Pian dei Ponti da Porta Lavinia che abbiamo appena descritto e l’altra sicuramente più nota un poco più a sud cioè la strada di S. Mustiola da Porta a Pacciano, quasi confluenti nel loro punto di arrivo.

Oltre al già citato argomento della possibile presenza di un diverso passaggio sulle Chiane prima del 1427 e un poco più a nord delle Torri, possiamo anche immaginare che la strada di Pian dei Ponti avesse in età classica il suo inizio a S. Lazzaro dove transitava la strada consolare Cassia e da qui si sarebbe potuto raggiungere la pianura percorrendo la valle del Rielle senza dover salire dentro la Città .

Dobbiamo poi tenere in conto che in età alto medioevale, quasi dappertutto, si abbandonarono le strade di fondovalle che nessuno sapeva più preservare dalle acque e si ritornò a percorrere gli antichi sentieri di crinale più scomodi ma certamente di più facile mantenimento.

La costruzione poi della basilica fortificata di S. Mustiola su una altura accanto ad un antico cimitero cristiano, a presidio del territorio chiusino, determinò sicuramente la prevalenza del percorso collinare rispetto a quello di fondovalle dando così alla Porta di Pacciano un ruolo predominante rispetto a quello di Porta Lavinia tanto che i terreni appena fuori divennero vigne e cimiteri.

Note al Testo

  1. A.S.C. (Archivio Storico di Chiusi ) – Primo catasto particellare del nostro territorio, redatto in via sperimentale, i cui rilievi risalgono all’Autunno del 1782.
  2. Volumi della Amministrazione Casuccini conservati in varie sezioni del Museo Civico. Sarebbe auspicabile una riunificazione dei materiali ed una conservazione nell’Archivio Storico.
  3. Idem.
  4. Giovanni Mignoni, Per una storia della famiglia Paolozzi negli archivi pubblici di Chiusi, nel volume “ Palazzo Paolozzi in via Porsenna a Chiusi”, a cura di M. Ciampolini, Ediz. Luì 2012.
  5. C.V.C. (Archivio Curia Vescovile di Chiusi) – Sez B Filza 22 Seminario.
  6. C.V.C. Seminario filza 23.
  7. C.V.C. Massa Capitolare Filza 2c.
  8. S.C.-Urbanistica e Viabilità n° 1545. Richiesta di rimborso al Comune di Chiusi di £ 234 da parte di Antonio Faleri di Siena, stato aiuto nell’Autunno del 1782 dell’agrimensore Bernardino Tozzetti “per fare la pianta e misura di tutto il territorio della Comunità ad oggetto di nuovo catasto”. Il poveretto dice di aver più volte fatto richiesta del suo avere senza risultato.
  9. Vari documenti della famiglia Lucioli messi gentilmente a disposizione del sottoscritto da Luciano Lucioli.
  10. S.C. -Visita alla Comunità di Chiusi dell’Auditore Generale in Siena Bartolomeo Gherardini 1676.
  11. C.V.C.-Sez. B , S. Stefano Filza 31.
  12. S.C. Libro primo degli Spogli.
  13. Giuliano Ciaccheri valente ingegnere fiorentino nell’anno 1691 ottenne dal Granduca il via libera al suo progetto di inondazione della valle sotto Chiusi con tutti i corsi d’acqua disponibili al fine di rialzare velocemente con le colmate quei terreni. Il suo progetto coraggioso ebbe successo e con lui si inizia veramente la bonifica della palude sotto Chiusi.
  14. C.V.C. -Mensa Vescovile , Filza 4.